Edoardo Bove si è raccontato al Corriere dello Sport in un’intervista a 10 mesi dall’arresto cardiaco durante Fiorentina-Inter lasciando trasparire tutta la voglia che ha di tornare a giocare a calcio.
Ecco le parole, riprese da Calciomercato.com:
“Non riesco a star fermo, devo muovermi, gioco a padel, ho la palestra in casa. Il prossimo passo è il ritorno in campo. Bisogna fissare il come, il dove e quando. Le visite saranno state una decina, molte di semplice controllo, elettrocardiogramma, prove sotto sforzo, holter pressorio, oltre a aritmologiche e a studi elettrofisiologici. Sono preparato. I medici hanno giustamente tutte le cautele. Ci vuole ancora un po’ di tempo, ma sento che si sta chiudendo il cerchio. Stiamo parlando con la Roma. Sono sotto contratto fino a giugno 2028, è ancora lunga.
A Firenze ci sono stato solo dieci mesi, eppure mi sento legatissimo a un posto in cui ho vissuto più emozioni negative che positive. La città è stata importante. Quando non avevo cose da fare andavo in giro, il Lungarno, le strade del centro, vedevo solo cose belle, incontravo gente che mi copriva d’affetto. Alla fine le cose più dolorose sono anche le più potenti. La sofferenza, se condivisa con gli altri, enfatizza i rapporti, oltre che i ricordi. Di notte sogno goal in rovesciata, sotto la traversa, quelli che non mi competono.
Il dolore mi fa sentire vivo, lo riconosco e non mi spaventa, lo accolgo. Tanto è inutile respingerlo. Il dolore mi ha fatto pensare a una vita normale. Ho tanti amici che studiano o lavorano e ci sono stati momenti, in questi mesi, in cui ho temuto di dover smettere di giocare. Se non avessi avuto quell’incidente, questa parte di vita non l’avrei conosciuta. Mi sono ritrovato a riflettere su cosa avrei fatto da grande. Situazioni come la mia sono piene di step. Quando mi sono ritrovato senza certezze, ho attraversato una crisi che definirei d’identità. Fino ad allora non avevo fatto altro che giocare a calcio. In momenti come quelli ti poni un sacco di domande, ti chiedi cosa sarai senza il pallone. Mi hanno aiutato la famiglia, gli amici, i compagni, i tifosi, la Fiorentina, e non mi riferisco solo alla squadra, ma anche ai dirigenti. È successo a me, in fondo ringrazio il destino perché mi ha fatto capire tante cose. Non ho potuto controllare ciò che mi è successo, e quindi, sotto sotto, sulle prime ero arrabbiato proprio per quello. Ora non sono più incazzato con me stesso, sono semplicemente proiettato verso quello che sarà, che dovrà essere. Non ho paura del futuro.
Con Eriksen ci siamo sentiti più di una volta, nei primi giorni e anche in estate. Abbiamo qualcosa in comune, pur non conoscendoci di persona. Me lo sento vicino e sono contento che abbia trovato un’altra squadra. In estate ho sentito Mourinho, il mio papà calcistico. Si era fatto vivo subito, a dicembre, con mio padre che lo adora. Cane malato? Rispose così a una domanda in conferenza stampa, per lui ero e resto Edu. Alla portoghese, Eduardo. La legge non mi consente di giocare in Italia? Non escludo niente. I medici non sono ancora giunti a una conclusione, potrei anche essere a posto. Ho la piena consapevolezza della situazione, sto da Dio e ho una gran voglia di tornare alla mia passione. Dovrei fare del muretto, non della palestra. Il mio gatto persiano si chiama Oreo, ne vado molto fiero, purtroppo è bianconero. Battuta scontata, eh?”.