⚠️ Gazzetta – Conte ha aperto una crisi. Napoli perplesso: le sensazioni

Le parole di Antonio Conte dopo Bologna-Napoli sono state, come noto, tuonanti. Antonio Giordano, eccelsa firma de “La Gazzetta dello Sport”, le ha così approfondite: “E pure stavolta le parole sono come pietre (peraltro taglienti): ma ora che Bologna-Napoli è finita, il primo posto è evaporato e restano due settimane di vuoto pneumatico da riempire, nell’aria resta l’eco di frasi che scuotono, anzi inquietano, perché vanno oltre. Oltre l’astinenza offensiva (tre partite senza segnare, tirando poco o quasi niente); oltre la percezione di una fragilità difensiva che si è riproposta (dieci gol subiti in campionato a cui aggiungere i nove presi in Champions); oltre quel calcio inespressivo che stordisce, certo non quanto le frasi di Conte. Che a Bologna, al 91’, ne ha dette eppure tante, mirando nel mucchio.

C’è tutto un campionario di accuse, in quel post-partita livido, che la metà basterebbe per attrezzarci un “processo”: sì, ma a chi, perché adesso bisognerebbe capire a chi appartenga “l’orticello a cui ognuno pensa per sé” o anche decifrare cosa significhi “adesso dovrò parlare con il club”, argomento tanto ampio e anche vario che spalanca a scenari interpretativi di varia natura. E poi volendo ci sarebbero le “questioni di cuore, se il cuore c’è” e magari si potrebbe persino soprassedere sulla solita, ormai derubricata tesi su quel “decimo posto che è arrivato dopo il terzo scudetto e che però non ha insegnato”.

La Storia ante-Conte dice anche altro, al di là di quell’incidente di percorso, perché prima il Napoli l’aveva riscritta con Spalletti, ci era andata vicino con Sarri per due volte e con Mazzarri una, s’era portato a casa tre Coppe Italia, una Supercoppa italiana, un quarto di Champions e una semifinale di Europa League: insomma, ne erano successe di belle cose mentre invece ovunque, a qualsiasi piano e in qualsiasi stanza del Napoli club si è rimasti perplessi dinnanzi a quell’inciso “io i morti non li voglio accompagnare”, dopo aver speso 208 milioni (con un saldo passivo complessivo di trenta, per i “puristi” del linguaggio), da aggiungere ai centocinquanta di un anno fa ed alla “evoluzione del monte ingaggi”. Quella che doveva essere un’analisi di un momento negativo è diventata un’accusa che di fatto apre una crisi di rapporti o li rivela, rifila uno strappo tra allenatore e squadra dopo che ce n’era già stato uno con lo staff medico e i fisioterapisti e sottolinea una difficoltà che non è solo atletica, come testimonia il campo, ma anche umano-professionale. “Non c’è empatia, non c’è chimica”. E magari manca pure qualche esame di coscienza.

In genere, o talvolta, si parla a suocera perché nuora intenda, mentre Conte invece spedisce messaggi diretti – mica subliminali – all’una e all’altra, praticamente a chiunque, a cadenza (quasi) settimanale: stavolta, afferrato un pugno di fango, l’ha sistemato nel ventilatore e per la serie “a chi coglio coglio”, non ha risparmiato nessuno. Non la vecchia guardia, c’è da immaginare, con cui ha avuto modo di chiacchierare, ma neanche la nuova, quella da inserire con prudenza in un progetto di calcio che non può essersi sgretolato quando i giochi sono ancora aperti, eccome. Però, altro in passato è capitato, per esempio a San Siro, dopo che la faccia di De Bruyne per la sostituzione esprimeva perplessità, smorzata brutalmente da tackle del Conte versione medianaccio: “Era contrariato? Spero per il risultato, sennò ha sbagliato persona”. E poi, imboccata la svolta, dopo la vittoria con l’Inter e quella di Lecce, carezze, gocce di miele e inversione a U: “Sono orgoglioso, ho dei guerrieri con me” ma anche “il Napoli gruppo forte, dà fastidio”. Poi a Bologna la dotta, l’assolo che ha squarciato in due nel silenzio spettrale di una sconfitta dolorosissima e che ha pure legittimamente alimentato la dietrologia più cupa: “Non c’è cuore, ognuno pensa a sé”.

Ma con chi ce l’aveva? Un disperato, “erotico” stop per tentare di frenare l’emorragia di risultati, per scuotere da fuori il Napoli di dentro, per restare fondamentalmente fedele a se stesso – piaccia o no, ma chi se ne frega – a procedere secondo antiche abitudini che a volte ritornano. “Non siamo una squadra e io non posso proteggere più nessuno. Mi dispiace perché non sto riuscendo a cambiare questa tendenza. Bisogna ritrovare la cattiveria, lo spirito giusto. E deve essere creata l’alchimia, non limitarsi al compitino ma giocare come chi ha altissime aspettative. Dopo la quinta sconfitta stagionale bisogna addentrarsi nelle riflessioni”. O afferrare la bacinella e buttare l’acqua sporca, ma non il bambino”.

By Redazione PianetaChampions

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