Maurizio Arrivabene, ex amministratore delegato della Juventus, ha rilasciato un’intervista a Tuttosport per parlare dell’Inchiesta Prisma e per raccontare alcuni retroscena di mercato:
“È la fine di un incubo. Il riconoscimento della verità. Però non cancella quella sensazione provata ai tempi della condanna sportiva. La mattina dopo il processo, mia figlia tornava dall’estero, atterrata in Italia mi ha trovato sulle prime pagine di tutti i giornali, con la notizia della squalifica data come fosse la condanna di un criminale. MI ha telefonato, scossa, e mi ha chiesto: “Papà, ma cosa è successo?”. E io non sapevo neanche come spiegargli la vicenda. Ecco, quella sensazione lì è stata brutta.Trattato come un criminale“.
“Gli avvocati lo avevano spiegato bene, nella memoria difensiva era tutto scritto e documentato. E lo hanno detto anche in aula. Posso pensare che non abbiamo scritto in modo chiaro o che abbiano parlato troppo piano in aula, magari non gli hanno sentiti. Chissà..”
“Nessuno mi ha spiegato il motivo della condanna. Ma credo che loro siano ancora convinti di aver fatto la cosa giusta. Invece vorrei sottolineare quanto detto da Andrea Agnelli dopo il patteggiamento, che non è un’ammissione di colpa. Così come le dimissioni del Consiglio di Amministrazione: all’epoca ci dimettemmo per consentire alla società di difendersi meglio e con più agilità, non perché ammettevamo di essere colpevoli. Non tutti l’hanno capito all’epoca”.
“Non ci può essere una giustizia sportiva intoccabile rispetto alla giustizia dello Stato. Lo Stato ci deve essere negli stadi, nei campi da tennis, nelle piscine e in qualsiasi altra forma di sport. Ovviamente si possono fare delle deleghe, ma queste deleghe non significano dare il potere totale, assoluto e autonomo. Fare giustizia significa anche fare le cose giuste.“
“Mica si può cambiare casacca. Il calcio non è il mio unico amore, ne ho avuti tanti: i motori, il tennis, lo sci e anche il calcio. Da ragazzo andavo a giocare a pallone con la maglia della Juve. A Brescia! Capisce? A Brescia con la maglia della Juve. E non l’ho più tolta da allora”.
“Per qualche mese ho smesso di seguire la Juve, poi ho ripreso. Resto in contatto con molti giocatori, con Vlahovic, per esempio, ci mandiamo sempre dei messaggi. È un bravo ragazzo“.
“L’abbiamo preso in un momento in cui aveva segnato una valanga di gol. Non può essere scarso, non è scarso. Davvero! E i gol li ha sempre fatti. Forse ha pagato il fatto che la Fiorentina giocava per lui e la Juventus non ha mai potuto giocare per lui. Forse adesso se n’è accorto e ha cambiato un po’, mi sembra che giochi più sereno, più leggero. E sta andando bene. Quando ha fatto quel cross, contro il Borussia, quello per il gol di Kelly, sembrava dicesse: così vanno messe le palle in mezzo!”
“Lo carico: gli dico quello che dicevo ai piloti della Ferrari. Piedi per terra e andare avanti.”
“Mi scrivo con Bonucci e con altri giocatori. Sono orgoglioso nel vedere che molti di quelli che abbiamo preso quell’anno siano ancora in squadra e facciano bene. Bremer, per esempio. É uno di pochissime parole, un po’ chiuso, ma fortissimo, E Locatelli! Ah, Locatelli… un gobbo vero. Uno juventino come ne ho conosciuti pochi, quando lo trattavamo con il Sassuolo lui non voleva sapere di nessuna altra squadra, voleva giocare con la Juve e basta“.
“La trattativa Bremer con Cairo è un gran ricordo. Mai incontrato uno così serio. Contratti stilati in modo professionale, nessun pizzino o foglietto. E lui, che ha trattato personalmente, si è letto tutto il contratto, clausola per clausola, naturalmente con piena coscienza di quello che leggeva. Ho un ricordo piacevole di quell’affare, al di là del calciatore che poi si è rivelato un campione“.
“Tudor mi piace. Ma non fatemi parlare di tattica. Io sono un tifoso, io voglio che gli attaccanti la buttino dentro e i difensori salvino i gol. Del resto lascio parlare gli altri, ce ne sono tanti più intelligenti di me“.
“Allegri al Milan? Nessun effetto particolare. Non siamo più nel calcio in cui queste cose non accadevano, no? Voglio dire: si cambia maglia, si va e si torna. È un mondo di professionisti“.
“Il mondo del calcio non manca di managerialità. Uno come De Siervo, per esempio, sta facendo cose buone e interessanti. Credo che il problema del calcio è che parla solo con se stesso. È un po’ autoreferenziale. Se penso ad altri modelli vedo maggiore apertura verso l’esterno. Il calcio, quello italiano in particolare, parla solo con se stesso. Non è salutare“.