Luciano Spalletti ha affidato alle colonne di Repubblica il racconto amaro dell’addio alla Nazionale. Queste le sue parole, riportate da alfredopedulla.com:
“Non mi passa mai. Mi toglie il sonno, mi condiziona tutto. Anche quando mi sembra di essere felice, mi torna in mente quella cosa lì. Il mio rammarico più grande è non essere riuscito a far capire ai ragazzi che gli volevo bene”.
Spalletti, tuttavia, non rinnega la scelta di aver accettato la guida dell’Italia: “Quando la Nazionale chiama, non si riflette: si risponde. Forse è proprio questo uno dei valori che oggi rischiamo di perdere”. E parlando del suo approccio iniziale, ammette un eccesso di zelo: “Ho premuto troppo sul senso di appartenenza. Chiedevo di cantare l’inno, di fare un grido prima di ogni allenamento. Lo facevo con orgoglio, ma forse è stato troppo”.
Il tecnico ha anche difeso i suoi ex giocatori: “Non si facciano dire che sono scarsi, sono di altissimo livello. Bastoni, Barella, Dimarco… non rinuncerei mai al mio gruppo storico. Dopo l’Europeo credevo che avessimo ritrovato la via giusta, ma come succede a volte, scavi un solco per l’acqua e quella prende un’altra strada. E alla fine scava una voragine”.
Ma tra le ferite ancora aperte, Spalletti ne ricorda una che arriva da più lontano e che tocca un tasto personale: il mancato giro sul pullman scoperto dopo lo scudetto vinto a Napoli: “Il più grande dispetto che ho ricevuto è stato non averci fatto sfilare per la città sul pullman. Mi mancherà per sempre. Mi è mancato ancora di più quest’anno, quando ho visto gli altri festeggiare. Ho chiesto a qualche calciatore di mandarmi un video, per capire almeno che effetto fa quella folla da lì sopra”
