Manu Koné, centrocampista della Roma, ha rilasciato un’intervista sulle colonne dell’edizione odierna del Corriere della Sera:
“La verità è che siamo tutti figli della nostra storia. Se oggi sono questo, è per la tibia che mi fratturai a 15 anni. I medici mi dissero che c’era il rischio di non tornare al meglio. Ma eccomi qui: quella ferita mi ha reso più forte“.
“I miei compagni andavano in Nazionale e io neppure camminavo. La difficoltà era vedere la mia famiglia triste, è stato complicato più per loro che per me. Ma lo dico senza arroganza: ho sempre avuto un carattere forte, mi ha salvato quello“.
“Primo posto? Si sta bene, lassù. Per questo lavoriamo. Non esaltiamoci. Ma l’anno scorso eravamo partiti male e poi l’abbiamo pagato alla fine“.
“L’obiettivo è arrivare tra le prime 4 e vincere l’Europa League: dobbiamo essere ambiziosi“.
“Gasperini è tante cose. Non ho mai visto nessuno vivere la partite così. E come se fosse in campo. E ti viene voglia per forza di lottare per lui“.
“Se un club come l’Inter si interessa a me, per me è positivo. Ne parlai con Gasperini, gli ho detto che non sapevo cosa sarebbe successo. Ma ho aggiunto: “Finché indosso questa maglia, lo faccio al 100%”. La Roma è l’unico club che ha creduto in me un’estate fa, è un dovere ricambiare“.
“Con Sommer e Thuram ci abbiamo scherzato su. Mi hanno detto di fare la scelta migliore, ma non dipendeva da me. Io stavo molto bene alla Roma, non è che volessi a tutti i costi andarmene“.
“Parlai con il Milan, è vero. Mi chiamò Massara, ma per la mia crescita è stato giusto andare al Borussia. Poi qui alla Roma ho ritrovato lo stesso Massara: il cerchio si è chiuso comunque, no?“.
“Io non mi stresso mai prima delle gare, che sia contro una squadra più debole o unamolto forte. E sa perché? Vede: la partita è la parte più gioiosa del nostro lavoro, ci alleniamo tutta la settimana per giocare. E perché rovinarla con lo stress? Tanto vale divertirsi rispettando i consigli dell’allenatore. Ma questo non vuol dire non essere esigenti: io non sono mai felice di una mia prova, anche se col tempo sono diventato costante: prima giocavo bene una settimana e quella dopo no“
“I gol arriveranno, so di saperli fare e devo migliorare. Ma il punto è che, con tutto il lavoro che dobbiamo fare noi centrocampisti, capita di arrivare stanco davanti alla porta e di sbagliare“.
“Alleno tutto. Da 2 anni lavoro con una nutrizionista, Cecile Capdeville: lei parla col mio cuoco qui in Italia e si assicura che io abbia i pasti migliori per restare in forma, senza massa grassa o sovrappeso. Ho anche un coach personale che vive con me. Poi ho un fisioterapista, un preparatore atletico e anche uno mentale. È il lavoro invisibile, importante tanto quanto quello in campo“.
“Avevo 4 anni nel 2005, con l’ondata di proteste. Ricordo che se ne parlava in famiglia. Ma non ho mai avuto problemi particolari. Neppure col razzismo: i miei genitori sono arrivati lì dalla Costa d’Avorio, come loro la maggioranza degli abitanti. E mi hanno sempre insegnato il rispetto. La mia è una famiglia numerosa, piena di calore: ho 4 sorelle e 2 fratelli più grandi, sono il penultimo di 7 figli. Quando torno, se c’è da andare a fare la spesa, vado io“.
“Da casa, se mi affaccio vedo Saint-Denis. Quando da bambino andavo a scuola col treno, ogni mattina guardavo e sognavo di giocare lì dentro. E successo a marzo: sono venute 30 persone, le stesse che sognavano con me“.
“Pogba è un modello, non idolo. Lui insieme a Serge Aurier. Paul, per noi ragazzi di banlieue, è stato un simbolo. Ogni tanto ancora oggi mi metto lì e osservo i suoi video“.
“Altra passione? La moda. In Germania facevo ogni tanto qualche follia, ora mi sono calmato“.
“Treccine giallorosse? Ci ho già pensato, in realtà l’ho anche fatto, anche se il colore è svanito subito. Sì, adoro giocare con stile“.
“Nelle gare importanti bisogna lasciare il segno, con la Lazio lo era. Ho messo la mia maglia sulla loro bandiera. Qualcuno l’ha presa male, ma resta il derby“.
“L’allenatore è il primo che ascolto dopo le partite. Ma è più dura con mio papà: a volte non rispondo perché so che la telefonata durerà a lungo… “
“Tra dieci anni la prima domanda che mi farò sarà: “Mi sono divertito?”. Il calcio deve restare un piacere. Poi, certo, a questo livello si cercano i trofei. Ma io vorrei che un giorno si dicesse di me che ho dato tutto e che ho scritto una bella storia“