Pierre Kalulu, difensore del Milan, è intervenuto ai microfoni di Rivista Undici soffermandosi, tra i vari temi, anche sul suo rapporto con Paolo Maldini, oramai ex direttore dell’area tecnica rossonera. Queste – riportate da TMW – le parole del francese:
“A essere sincero non avevamo paura prima di Sassuolo-Milan. C’era un po’ quell’adrenalina di sempre, quella che hai prima di ogni partita, ma sapevamo di aver lavorato bene durante la settimana e durante tutta la stagione ed eravamo tranquilli. Non c’era più tensione del solito”.
Il rapporto con Paolo Maldini.
“Maldini mi ha aiutato di più a capire quanto conta il calcio in Italia. Il tifo è pazzesco, la gente ti ama davvero. Quando andavamo in trasferta lui era sempre il più acclamato, anche se ha smesso di giocare più di dieci anni fa”.
L’arrivo in Italia e i margini di miglioramento.
“Quando sono arrivato al Milan non solo non avevo mai giocato come professionista, ma non giocavo a calcio da tanto tempo in assoluto, perché c’era stata la pandemia. Non scendevo in campo da marzo. Non ho pensato alla pressione o al fatto di essere stato pagato poco. Ho solo detto: finalmente posso tornare a giocare a calcio. Sono cresciuto in tutto. Sono più forte, più veloce, più libero di testa, le cose mi vengono più naturali. Posso migliorare ancora in tutto! Posso essere ancora più deciso, soprattutto nei duelli aerei, e posso sempre leggere meglio le partite. Questo fa la differenza ad alto livello”.
I ricordi della finale del Mondiale 2006, persa dalla sua Francia contro l’Italia.
“Ricordo che siamo andati a casa dei miei cugini, eravamo tanti bambini, c’erano tre o quattro famiglie tutte insieme, un ambiente bellissimo. La finale era alla sera, ma siamo andati là già alle tre del pomeriggio. È stata l’unica partita di quel Mondiale che ho visto veramente, dal primo all’ultimo minuto, ero piccolo, avevo solo sei anni. Non capivo tutto, ma ricordo la sensazione di vedere tutti i miei parenti con un po’ di paura, tensione, eccetera… Lì ho capito che il calcio è una cosa che ti fa sentire vivo. Forse è per questo che sono diventato un calciatore”.