Lorenzo De Silvestri, terzino, capitano e simbolo del Bologna, è intervenuto sulle colonne di Radio TV Serie A. Ecco quanto ripreso da TMW:
“Thiago Motta? Il mister è arrivato in un momento delicato per noi, ma ha portato subito un tipo di gioco innovativo. Ci ha dato tanta consapevolezza, con i giovani è stato importante per la loro crescita. Chiunque giochi lo fa con una fiducia importante, non conta solo l’individuo, ma la squadra, e questo è merito suo. Sa scindere bene i momenti, ci lascia liberi quando è giusto che sia così, in campo e fuori, però poi nel rispetto delle regole è anche molto ferreo e vuole il massimo. Fuori dal campo ci sono regole, anch’io cerco di farle rispettare: da evitare i ritardi, polemiche alle sostituzioni, piccole cose, ma importanti per mantenere disciplina in un gruppo. Thiago Motta è un grande allenatore, l’ho visto spesso far cambiare atteggiamento alla squadra durante gli intervalli, riuscendo a toccare i nervi giusti sia con la scelta delle parole sia nei cambiamenti in campo”.
Su Mihajlovic: “Ricordo tutti i giocatori importanti passati, ma anche Sinisa, che ha portato un cambiamento da quando è arrivato. Ha portato innovazione e un modo spavaldo di interpretare le partite, ci ha cambiato molto lo stato d’animo e la consapevolezza, dando importanza a livello internazionale al Bologna. La sua malattia ci ha unito, l’anno scorso feci un discorso alla squadra, ricordai loro l’importanza di aver superato e gestito momenti del genere. Siamo diventati maturi, è stata una cosa che ci ha lasciato grande maturità. Il mio rapporto con lui non è stato sempre rose e fiori, mi ha fatto provare anche tanta rabbia, soprattutto a Firenze quando non mi faceva giocare. Voleva insegnarmi a reagire a situazioni negative, ma poi mi ha dato gioie incredibili ed è anche grazie a lui che poi sono arrivato a Bologna. Momento più duro con lui? Ricordo il periodo di Firenze, avevo appena esordito in Nazionale giocando l’anno prima la Champions League, avevo 21 anni. Avevo il petto gonfio: mi sentivo fortissimo. Mi tenne fuori per qualche partita, voleva farmi capire che non stavo dando il massimo negli allenamenti. Ricordo una vigilia: capii di non giocare la partita di domenica e mi misi a piangere durante un allenamento. Lui si avvicinò a me e mi disse: “Voglio farti capire che devi reagire e tornare a curare i dettagli come facevi prima”. Momento più dolce? Fuori dal campo ricordo quando lo andammo a trovare fuori dall’ospedale, era lì da 40 giorni. Quello è stato un momento emotivo fortissimo, vidi la gioia nei suoi occhi. La sua scomparsa? Non riesco ancora a parlarne al passato, per me è stato un padre calcistico. Il nostro è stato un rapporto vero, ho saputo della sua scomparsa parlando con amici della famiglia e Dusan, il figlio di Sinisa. Presi un treno per andare a dargli un ultimo saluto, la famiglia è stata meravigliosa in tutta questa situazione. Mi sono ripromesso di stare vicino a loro, perché meritano. Vedo i figli e mi sento con loro, sanno che ci sono sempre per loro. Sinisa è stata una persona vera, con pregi e difetti, ma vera”.