Francesco Totti ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni di Prime Video, toccando vari tasti legati al suo passato in giallorosso. L’ex capitano della Roma si è soffermato sul suo passato, sul tifo incondizionato per la Roma e su alcuni episodi della sua carriera. Di seguito le sue dichiarazioni.
“A casa mia si tifava Roma, solo nonna e nonno erano un po’ della Lazio. Mio padre in 25 anni di carriera non mi ha mai detto bravo ma vedevo che i miei genitori erano fieri di me. Quando avevo 12 anni venne Braida a casa della mia famiglia e offrì 160 milioni di lire per portarmi al Milan. Mia mamma mi voleva proteggere e voleva che restassi a Roma, per cui non si fece nulla. Per me Giannini era un Dio, e dopo qualche mese ci giocavo insieme. Mazzone è stato il mio secondo papà, mi ha cambiato la carriera. Oltre al Real Madrid ho ricevuto una maxi offerta in MLS negli Stati Uniti, e prima della partita d’addio mi chiamò anche Mihajlovic per andare al Torino. Ma non avrei mai potuto accettare di vestire un’altra maglia, non mi sono pentito. La mia scelta è sempre stata Roma o Roma, da subito ho pensato: qua sono nato e qua muoio. Sarà difficile trovare un altro personaggio che farà quello che ho fatto io con la mia gente e la mia maglia”.
“Spalletti nel 2016 arrivò alla Roma per farmi smettere, assecondato dalla società. Con lui ogni volta c’erano problemi, nei miei confronti era uno Spalletti opposto rispetto a quello del 2005. Lui forse è convinto che io lo abbia fatto allontanare prendendo al suo posto Ranieri, ma non è vero: la dirigenza convocò me e altri giocatori per chiederci chi volessimo tra Mancini, Ranieri e altri. Sul mio addio, fu la società a dirmi che dovevo smettere: un giorno vennero a casa a dirmi che avrei giocato l’ultimo derby. Io non sono stupido, sapevo che prima o poi avrei dovuto smettere ma mi sentivo ancora bene di gambe e di testa. Forse in quell’occasione mi ha deluso più la Roma rispetto a Spalletti, secondo me davo fastidio. Avevo detto che avrei giocato pure gratis, per la Roma avrei dato tutto”.
“Quando ho smesso di giocare mi sentivo senza terra sotto i piedi. Per tre settimane ho pianto tutti i giorni. Ero spaventato, sentivo un’atmosfera paurosa, ero freddo con tutti. Rileggevo in bagno la lettera di addio e piangevo, pensavo a come erano volati quei 25 anni. Ero convinto che avrei fatto una partita di addio, ma dopo le emozioni di quel giorno all’Olimpico ho capito che non ci sarebbe potuto essere un altro addio al calcio e alla Roma. Quel giorno per me è stato come un distaccamento tra madre e figlio. Il calcio a Balotelli? Era una cosa che covavo da tempo. Era giovane ed era un fenomeno, ma era anche arrogante e presuntuoso. Il mio obiettivo quel giorno non era pareggiare la partita, pensavo solo che se mi fosse capitato avrei colto l’occasione per mandarlo in curva. Poi l’ho sentito e gli ho chiesto scusa e l’abbiamo buttata sul ridere. Il pugno a Colonnese? Mi disse che Cristian non era mio figlio e non ci ho più visto. Poulsen? Ancora oggi non mi rendo conto di aver sputato contro Poulsen. Me ne vergogno, è un gesto brutto che da calciatore non avrei accettato di subire, perché è indegno”.
“A Roma non ho vinto uno scudetto, ho vinto lo Scudetto con la mia maglia, perché la maglia della Roma è disegnata su di me. Vincere Mondiale e scudetto sono due sogni che ogni giocatore vuole realizzare: per me il primo era lo scudetto con la Roma. Qualcuno dirà che sono pazzo, ma lo metto un gradino sopra. Oggi? Ranieri è l’unico che può spiegare ai giocatori il valore di questa maglia, ma da quando è arrivato non l’ho mai sentito. Gasp? Sono sicuro che mi sarei trovato bene con lui“.