👎 Caos Bayern, Galtier ma anche Allegri e Sarri: quando vincere in patria non basta

L’ultimo, cinematografico weekend di Bundes ci ha regalato un finale a dir poco thriller sia sul campo, caratterizzato dal clamoroso suicidio interno del Borussia Dortmund che ha consegnato il titolo al Bayern Monaco, ma anche fuori dal rettangolo verde: Oliver Kahn e Hasan Salihamidzic, infatti, pochi minuti dopo il trionfo last-minute dei biancorossi, hanno incredibilmente visto venir meno la propria avventura da – rispettivamente – amministratore delegato e direttore sportivo del club più titolato e prestigioso di Germania.

Una scelta, questa, probabilmente frutto della “deludente” campagna europea dei tedeschi, che ha portato alla loro eliminazione per mano del Manchester City ai Quarti di Finale del torneo, e – probabilmente – anche dell’inusuale, tremenda sofferenza nel centrare il titolo entro i confini nazionali, agevolato soprattutto dallo storico regalo confezionato da parte dei rivali gialloneri. Un percorso giudicato dai vertici societari, pertanto, insoddisfacente già diverse settimane fa a causa dell’inaspettato esonero di Julian Nagelsmann, poi certificato dalla doppia bocciatura dei riferimenti dell’oramai ex struttura dirigenziale ai quali non è bastato, di conseguenza, vincere in patria.

Una fattispecie simile la sta senza alcun dubbio vivendo a qualche chilometro di distanza anche Christophe Galtier, tecnico del Paris Saint-Germain, al quale la freschissima e tutto sommato abbastanza tranquilla vittoria della Ligue 1 appare come tutt’altro che sufficiente a salvarne la panchina in vista della prossima stagione. Il motivo, anche qui, è da individuare nell’ennesimo fallimento della truppa transalpina nella Coppa dalle Grandi Orecchie, percorso interrottosi agli Ottavi di Finale proprio a causa del KO nel doppio confronto con il Bayern Monaco.

Vincere in patria, quindi, sembrerebbe davvero sempre più spesso non bastare? Sembrerebbe proprio di si…

Anche in Italia gli esempi di certo non mancano. Caso eloquente, in tal senso, è rappresentato dalle confusionarie e poco coerenti scelte tecniche adottate da parte della Juventus nel corso degli ultimi anni. Nel 2019, ad esempio, Andrea Agnelli, dopo cinque scudetti consecutivi sotto la gestione del trainer livornese, considera il ciclo di Massimiliano Allegri giunto al capolinea. I motivi, oltre che la prematura uscita dei bianconeri dalla Champions League nei Quarti di Finale contro l‘Ajax, sono da riscontrare nell’ambizione della Vecchia Signora di andare oltre il “Vincere non è importante, ma è l’unica cosa che conta” attraverso la ricerca di un profilo di allenatore differente che potesse portare il club più importante dello Stivale a porre in essere un gioco più moderno ed europeo.

Madama, pertanto, decide di ripartire da Maurizio Sarri, fautore dello splendido Napoli che sfiorò il Tricolore due stagioni prima e reduce dal trionfo in Europa League con il Chelsea. All’ombra della Mole, il tecnico toscano riesce a portare a casa il primo, meritato titolo nazionale della sua carriera nella difficile annata condizionata dalla pandemia, ma “solo” l’ennesimo della ricchissima storia del sodalizio piemontese: in Champions League il percorso dei suoi si interrompe malamente contro il Lione agli Ottavi di Finale e, complice anche l’oggettivo scarso feeling con piazza, giocatori e società, l’attuale guida tecnica della Lazio verrà sollevato dall’incarico dopo solo un anno.

Dopo di lui, ecco l’esordiente Andrea Pirlo: anche qui, l’eliminazione agli Ottavi di Finale contro il Porto andrà inesorabilmente a ridimensionare il duplice trionfo in Supercoppa Italiana e Coppa Italia del Maestro. Dopo appena altri dodici mesi dal suo approdo in panchina, anche l’ex centrocampista verrà allontanato. L’aspetto più incredibile di questo paradossale triennio? Il ritorno di Max Allegri nel 2021 in panchina: la sua nuova nomina, dopo l’ingiusto addio di qualche anno prima sancito per volere della società, rappresentò un’autentica ammissione di colpa da parte di proprietà e dirigenza, le quali tornarono inesorabilmente sui propri passi. Vincere, tutto d’un tratto, era tornata a essere la priorità…

Altri due casi certamente memorabili sono quelli che portarono alla separazione tra l’Inter e Roberto Mancini dopo il sofferto, ma iconico Scudetto della stagione 2007-2008 che portò poi all’arrivo di Josè Mourinho sulla panchina nerazzurra, e quello di Antonio Conte, sempre con la Juventus, nell’estate del 2014, dopo tre titoli di fila, questa volta a causa di alcune profonde divergenze con il club in merito alle strategie del mercato bianconero.

 

By Nicola Cosentino

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