Ennesimo fallimento di una carriera con poco senso: Gattuso, è l’ora di ridimensionarsi

Dopo soli 7 mesi l’avventura di Gennaro Gattuso al Valencia è finita: senza acuti e senza mai essere entrato in sintonia con la piazza. Ad inizio stagione, nella conferenza di presentazione, fu chiesto a Gattuso se fosse un tenero gatto o un leone: l’allenatore calabrese aveva rinviato la risposta a qualche mese più tardi. Il campo, giudice supremo ed assoluto, ha consegnato a tutti la soluzione al quesito.

 

Il fallimento di Valencia conclusosi con la separazione consensuale (tradotto in termini sportivi e non burocratici, esonero), segue nel curriculum dell’ex centrocampista l’esperienza mai iniziata con la Fiorentina, con tante polemiche e strascichi per i noti fattori extra campo e delle eventuali richieste di mercato non accontentate.

La carriera

Il primo approccio ufficiale con la panchina è al Sion ma l’avventura dura poco. La prima vera avventura è col Palermo: pochi mesi, esonero e Beppe Iachini che da subentrato portò la corazzata rosanero alla vittoria del campionato. Dopo la Sicilia Gattuso vola a Creta per sposare il progetto dell’OFI: pochi mesi, tanti problemi, tante sconfitte (9 in 15 partite) ed altro addio. Per Gattuso inizia un anno sabbatico prima del Pisa: una bella promozione sul campo in Serie C seguita da una retrocessione l’anno seguente in Serie B. Quella stagione, c’è da dire, fu caratterizzata da grandissimi problemi economici e societari della società toscana. Problemi che lo stesso Gattuso si adoperò per risolvere in prima persona entrando nel cuore del popolo nerazzurro.

Dopo l’addio al Pisa c’è la Primavera del Milan per un nuovo inizio ed una nuova gavetta. Dopo pochi mesi, però, avviene l’evento che probabilmente fa saltare diversi step nella carriera di un tecnico sino a quel momento esonerato a Palermo e con una promozione in Serie B ed una retrocessione in Serie C nel palmares: la panchina della prima squadra del Milan.

Il club, in forte crisi, si affida ad un uomo dall’animo rossonero per risollevarsi: il girone di ritorno di Gattuso è di tutto rispetto ed il Milan centra il sesto posto ed una finale di Coppa Italia persa malamente. La stagione successiva Gattuso è confermato col Milan e, al netto dei discorsi di cuore, è ancora il campo a parlare: eliminazione dall’Europa League con Betis, Olympiacos e Dudelange, sconfitta in Supercoppa Italiana, semifinale di Coppa Italia ed un quinto posto che non consente al Milan di centrare la Champions League nella lotta a tre con Atalanta ed Inter.

A fine 2019 ancora una grande occasione: il Napoli, per sostituire Carlo Ancelotti, chiama l’allievo Gattuso. I partenopei, in una situazione disastrosa, centrano il settimo posto in campionato e nel calcio ovattato dell’immediato post Covid vincono la Coppa Italia in finale con la Juventsu: è questo il primo ed unico trofeo di Gattuso ai massimi livelli. L’anno dopo, per intero a Napoli, una squadra ben allestita non riesce mai a decollare.

Sconfitta in Supercoppa Italia, eliminazione umiliante in Europa League con il Granada (poi retrocesso l’anno successivo in Liga) e quinto posto con l’obiettivo Champions League, dichiarato ed alla portata, fallito toppando l’ultima gara in casa con l’Hellas Verona. Appendice dell’avventura napoletana, tra diversi fattori positivi, uno negativo e probabilmente imperdonabile: la totale cecità nei confronti di Stanislav Lobotka. Allo slovacco, oggi il miglior regista in Italia e tra i migliori d’Europa, venivano sistematicamente ed alternativamente preferiti Demme, Bakayoko e Fabian. Al netto del calciatore spagnolo, ed alla luce dei rendimenti degli altri due, un grave limite nei confronti di un calciatore che a distanza di qualche anno ha poi dichiarato che con Gattuso non avrebbe mai giocato anche nel pieno della forma e che stava pensando all’addio al Napoli (che per fortuna degli azzurri poi non c’è stato).

Dopo gli azzurri le citate parentesi con Fiorentina e Valencia. Una carriera non esaltante e definita nel titolo con poco senso. Quel poco senso che si fa fatica ad accettare, che si tratti di Gattuso o di tanti altri (con l’apice incredibile concentrato nella classe dei Campioni del Mondo del 2006, con le dovute eccezioni), nel vedere tripli salti in avanti verso panchine prestigiose e blasonate senza meriti sportivi pregressi.

Quel buco che in Italia terrà sempre distanti tra loro chi dalla terza categoria arriva in Serie A una volti ogni 30 o 40 anni (Sarri) e chi, in una linea continua che il sistema alimenta e non spezza, gode di diritto di prelazione alla base del curriculum da calciatore. In tal senso basta approfondire i criteri meritocratici per ottenere i diversi patentini da allenatore per avere un quadro chiaro della differenza sostanziale

Comunicazione e percezione

Gattuso, al netto dei risultati, piace, esalta. Uomo di battaglia e di valori, di comunicazione diretta, semplice e simpatica. Nel calcio, però, contano i risultati ed in Gattuso non esistono. Una narrazione che non prevede diritto di replica, che assegna come verità assoluta dell’ambiente in cui ci si trova quella narrata da Gattuso. Che giustifica i problemi del Palermo (Zamparini), dell’Ofi Creta (economici), del Pisa (economici) del Milan (strutturali), del Napoli (l’ammutinamento con Ancelotit), della Fiorentina (Commisso e le commissioni agli agenti) e del Valencia (la proprietà Lee) come la costante attenuante per giustificare una carriera che non decolla.

Le fortune di un allenatore si fanno anche sulle scelte dello stesso in un momento piuttosto che in un altro che, come nell’elenco succitato, non sono il forte di Gattuso.

Quello di Valencia è l’ennesimo esonero di una carriera intensa, breve e con quel famoso salto da una retrocessione in Serie C al Milan che è ancora a caccia di motivazioni. Perché nessuna dicitura burocratica e formale, che sia essa rescissione consensuale, trasforma la vera sostanza delle separazioni in seguito a risultati sportivi poco esaltanti.

Prendendo in oggetto la carriera di un profilo molto simile a quello di Gattuso, ossia Pippo Inzaghi, emerge subito un aspetto. Dopo la parentesi poco fortunata al Milan, Inzaghi è ripartito in C col Venezia, ha vinto in Lega Pro, fatto bene in B, conquistato la Serie A, fatto male in A, dominato in B, fallito nuovamente in A e sta rifacendo bene in Serie B. Tradotto: due passi indietro per farne tre in avanti su una strada di regolarità e meritocrazia inattaccabile.

Nel caso di Gattuso pare che prevedere la sua dimensione ora associata a squadre non di cartello sia eresia. Il quesito, alla luce dei numeri, sorge spontaneo: perché? Perché chi non sfrutta occasioni ad alto livello deve restare su questo livello? La carriera di Gattuso, dopo l’ennesimo fallimento, dovrebbe andare incontro ad un ridimensionamento. 

By Alessio D'Errico

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